Le pazze
Dopo il golpe del 24 marzo 1976, le Madri argentine di Plaza
de Mayo ebbero il coraggio di sfidare la dittatura, decise a
ritrovare i figli scomparsi. Solo in seguito seppero che i militari
avevano sequestrato e ucciso trentamila oppositori politici,
ragazzi e ragazze torturati nei campi di concentramento
clandestini disseminati nell’intero paese, gettati in mare
con i “voli della morte”. Furono le porte che si videro chiudere
in faccia nei tribunali, nelle chiese, nei commissariati, a dar loro
la misura del potere che le soverchiava e a spingerle in quella
Plaza de Mayo dove avrebbero dato vita alla storica marcia che
continua ancora oggi, ogni giovedì. L’insegnamento delle Madri,
così duramente appreso, ci mostra come sia possibile, passo
dopo passo, l’instaurarsi di un potere criminale mentre la vita
quotidiana non smette di avere le forme della normalità,
ricordandoci quanto sottile, fragile e preziosa sia la soglia che
separa la democrazia dalla dittatura. Ciascuno di noi, ci dicono,
ha la responsabilità di non guardare con ottusità a quello che
accade, di non trincerarsi nel proprio quieto vivere, perché
alla restrizione della libertà e all’intimidazione ci si abitua, fino
al precipizio.
Dopo il golpe del 24 marzo 1976, le Madri argentine di Plaza
de Mayo ebbero il coraggio di sfidare la dittatura, decise a
ritrovare i figli scomparsi. Solo in seguito seppero che i militari
avevano sequestrato e ucciso trentamila oppositori politici,
ragazzi e ragazze torturati nei campi di concentramento
clandestini disseminati nell’intero paese, gettati in mare
con i “voli della morte”. Furono le porte che si videro chiudere
in faccia nei tribunali, nelle chiese, nei commissariati, a dar loro
la misura del potere che le soverchiava e a spingerle in quella
Plaza de Mayo dove avrebbero dato vita alla storica marcia che
continua ancora oggi, ogni giovedì. L’insegnamento delle Madri,
così duramente appreso, ci mostra come sia possibile, passo
dopo passo, l’instaurarsi di un potere criminale mentre la vita
quotidiana non smette di avere le forme della normalità,
ricordandoci quanto sottile, fragile e preziosa sia la soglia che
separa la democrazia dalla dittatura. Ciascuno di noi, ci dicono,
ha la responsabilità di non guardare con ottusità a quello che
accade, di non trincerarsi nel proprio quieto vivere, perché
alla restrizione della libertà e all’intimidazione ci si abitua, fino
al precipizio.